Lezione tenuta all'Accademia di Belle Arti di Pisa
Corso di Teoria e metodo dei mass media della Prof. Elena Marcheschi
Corso di Teoria e metodo dei mass media della Prof. Elena Marcheschi
In questo corso tratteremo del modo in cui gli artisti hanno accolto l'avvento e contribuito alla sperimentazione di innovativi strumenti di espressione e di comunicazione che hanno letteralmente ridefinito le dinamiche socio-culturali in senso lato durante l'ultimo secolo e mezzo di storia. Lo sviluppo in ambito scientifico e tecnologico ha aperto nuovi orizzonti per l'arte, rendendo di fatto accessibili alla immaginazione dell'artista nuovi metodi di progettazione e realizzazione dell'opera.
Opera: Combinazione di elementi che costituiscono un complesso proiettato da un mezzo di comunicazione verso un dominio di mittenza che rileva ed elabora (decodifica) il messaggio veicolato.
Fotografia: è una istantanea che immortala un evento singolare in un una figura spazio-temporalmente determinata.
La dinamicità della fotografia è fondata sulla relazione stabilita tra gli elementi fissi che la costituiscono; è dunque lo sguardo dello spettatore a trasmettere ad un “oggetto statico” il senso del movimento, cui l'opera può soltanto accennare.
Video: è una sequenza di istantanee, combinate in serie secondo un ordine intenzionalmente stabilito durante la fase di montaggio.
L'opera artistica che assume questa forma di rappresentazione si svolge in un tempo di riproduzione, un intervallo durante il quale si articola il sistema progettato dal regista. Il video non accenna, bensì realizza il trascorrere del tempo, proiettando la direzionalità di un processo in corso.
Abbiamo intrapreso lo studio della VideoArte introducendo i primi cineasti della storia del cinema.
Abbiamo intrapreso lo studio della VideoArte introducendo i primi cineasti della storia del cinema.
Georges Méliès
(1861-1938)
(1861-1938)
Illusionista e regista parigino; comincia a calcare le scene come prestigiatore, formandosi nella direzione scenografica di eventi teatrali, per approdare infine nel settore cinematografico. Méliès seppe intuire le enormi potenzialità espressive del cinema e fu tra i primi a comprendere e sperimentare in prima persona sino a che punto la macchina da presa, introdotta a fine '800 dai fratelli Lumiere, estendesse esponenzialmente la capacità dell'illusionista, e del “demiurgo” in senso lato, di proiettare su di una matrice di realizzazione il proprio artificio. Basti pensare che nel dominio virtuale dell'immagine proiettata l'oggetto può “concretamente” svanire e riapparire, realizzando di fatto una rappresentazione ideale di quanto il prestigiatore può soltanto fingere impiegando un abile trucco; il trucco resta, ma in seno al complesso e alla dinamica istituita dall'opera cinematografica (che, ricordiamolo, costituisce una esperienza di rilevazione dell'opera strettamente dipendente dalle caratteristiche strutturali di un contesto di riproduzione particolare) lo spettatore aderisce spontanteamente al sistema di leggi introdotto dalla logica della rappresentazione.
Sintonizzato con il modo di vedere dell'artista, lo spettatore è di fatto intenzionalmente disposto dall'artista stesso in uno stato di coscienza “acritico”, che tende a suscitare la credulità in contesti spesso assurdi al fine di accogliere il senso dell'opera. Vedremo come questa concezione dell'opera cinematografica sarà al centro delle critiche delle avanguardie russe, idealmente orientate verso la realizzazione di un processo di emancipazone della coscienza di massa.
Considerata la sterminata produzione di questo artista, ci siamo soffermati in particolare su una pellicola del 1902, divenuta una pietra miliare della storia del cinema:
Le voyage dans la Lune
Il film consiste in una sequenza di scene cronologicamente ordinate in modo lineare, coordinate con il ritmo e la direzione di una narrazione (nonché di un eventuale pezzo musicale di accompagnamento); di massimo interesse sono sia la notevole durata (circa un quarto d'ora) – considerata l'epoca – sia le tecniche impiegate a livello di montaggio. Queste ultime costituiscono di fatto l'elemento strutturalmente più rilevante rispetto alla gestione della “attenzione condivisa” degli spettatori: è infatti uso comune a molti tra i primissimi registi quello di affascinare, di meravigliare, di eccitare dunque con artifizi tecnici “impressionanti” il pubblico; in tal senso Méliès sfrutta evidentemente al meglio le competenze conferitegli dalla sua carriera di illusionista sia in fase di progettazione, sia in fase di realizzazione.
Produzione altrettanto degna di considerazione è quella dei veri e propri pionieri della cinematografia:
Auguste e Louis Lumière
(1862-1954; 1864-1948)
(1862-1954; 1864-1948)
Sono gli inventori del cinematografo, la prima macchina capace di fungere sia da camera sia da proiettore. Girarono l'Europa proiettando opere prodotte in proprio con la loro invenzione.
Come cineasti sperimentarono per primi la produzione di un evento dinamico (l'arrivo di un treno alla stazione e la discesa da questo dei passeggeri), nonché la reazione di un pubblico “vergine” alla sua proiezione, che suscitò meraviglia mista a terrore.
L'Arrivée d'un train à La Ciotat (1896)
II lezione
II lezione
Le avanguardie cinematografiche
In Italia lo strumento cinematografico attrae in modo rilevante il movimento politico-culturale futurista, i cui esponenti erano massimamente sensibili rispetto alle innovazioni tecnologiche ed artistiche.
I futuristi lasciano una traccia rilevante più per il tipo di sperimentazione che introducono, in linea con la loro estetica fotodinamica, piuttosto che per il valore delle opere in senso lato. Tra queste abbiamo visionato
Thais
film del 1917 del regista
Anton Giulio Bragaglia
(1890-1960)
L'astrattismo è una corrente, nonché una concezione della ricerca estetica, che fa riferimento in primo luogo all'opera di Vassilij Kandinsky, ideologo, oltreché principale esponente della stessa. L'astrattismo si presenta come una purificazione del linguaggio estetico, corrotto e intrinsecamente limitato dalla esigenza di adattarsi ad un soggetto riconoscibile o ad una storia, dunque ad un determinato oggetto manipolabile. L'opera astratta impone un ritorno alle origini della forma espressiva, operando una rivalutazione ed un ripensamento degli elementi fondamentali della rappresentazione: il punto, la curva, il colore.
Con “cinema astratto” intendiamo il prodotto della sperimentazione svolta principalmente dagli esponenti delle avanguardie tedesche negli anni Venti del '900. Alla volontà di fornire al fruitore un oggetto “umano, troppo umano”, il cinema astratto sostituisce l'esigenza di rendere all'arte un suo proprio linguaggio, una purezza che inerisce profondamente la capacità dell'artista di fare un uso appropriato della matrice logico-geometrica con cui e su cui lavora. È così relegata fuori dell'opera d'arte l'intenzione di adattarla ad un ordine inerente il mondo familiare, di riflettere la visione dello sguardo comune.
Esponenti italiani dell'astrattismo in campo cinematografico sono i fratelli Arnaldo Ginanni (Ginna) Corradini (1890-1982) e Bruno Ginanni Corradini (1892-1976) la cui opera del 1911, andata perduta, è di fatto il primo tentativo di cinema astratto. Nove anni dopo, nel 1920, Walter Ruttmann presenta la Lichtspiel Opus 1. Ma è con la figura di Hans Richter e la sua opera di debutto, Rythmus, che il cinema astratto giunge a maturazione.
Hans Richter
(1888-1976)
Pttore e regista tedesco, noto per la sperimentazione nel campo della composizione di oggetti in movimento. Tanto come pittore quanto come regista predilige un linguaggio fatto di forme basilari sulla matrice di rappresentazione (tela o schermo di proiezione).
Un contributo fondamentale per gli sperimentatori tedeschi di quegli
anni furono gli studi di psicologia della Gestalt (scuola di Weimar), che assieme alla
rivoluzionaria teoria della relatività di A. Einstein favorirono un vero
e proprio ripensamento della concezione dello spazio e del tempo.
[quanto emerge dalla elaborazione soggettiva di una combinazione di elementi figurativi, di un pattern è in qualche modo associato (psicofisiologisticamente) alla struttura, dunque alla forma della composizione stessa; con le leggi fenomenologiche proposte dalla psicologia della Gestalt, nella misura in cui sono ritenute culturalmente determinate, l'artista può finalmente stabilire una corrispondenza biunivoca tra la propria rappresentazione dello spazio e del tempo e la rappresentazione interiore della stessa da parte dello spettatore, dunque raggiungere un grado di sintonizzazione con quest'ultimo di livello superiore.
indagare la realtà così come appare all'osservatore assume il valore di ricerca decisiva per chi intende orientare non solo lo sguardo, ma l'organismo con cui interagisce verso una particolare (in quanto singolare) visione d'insieme dell'opera
per saper definire un determinato pattern, l'artista deve adeguatamente gestire gli elementi compositivi fondamentali ed universali della matrice di rappresentazione cui si applica]
Rythmus 21 e 23 sono due opere cui spesso Richter si riferirà come un esperimento sostanzialmente unitario. Se nel primo a dominare sono figure luminose quadrangolari, ritmicamente manipolate con tecniche di spostamento e di sovrapposizione, nel secondo sono introdotte (o meglio evidenziate sul piano) anche le linee, che integrano ulteriormente la dinamicità dell'opera.
Rhythmus 25 (del 1925) è andata perduta.
Totalmente
in linea con il nuovo linguaggio dell'arte proposto da Kandinskij, Richter intende dunque
orchestrare le immagini scomponendole nei loro elementi essenziali; il
ritmo dell'opera è impresso dall'autore operando soltanto sulla dinamica composizione di forme geometriche basilari.
“The simple square of the movie screen could easily be divided and
“orchestrated” . These division or parts could
then be orchestrated in time by accepting the rectangle of the ‘movie
canvas’ as the form element. In other words, I did again with the screen
what I had done years before with the canvas.
In doing so I found a new
sensation: rhythm- which is, I still think, the chief sensation of any
expression of movement.”
(tratto da una intervista rilasciata da Richter nel 1953)
Rythmus 21 (1921)
Rythmus 23 (1923)
I cubisti hanno apportato un contributo fondamentale nel processo di emancipazione della pittura dai metodi e dai canoni accademici. Questi artisti, ereditando la lezione di Cezanne, hanno radicalmente ridefinito lo strumento di studio e controllo dello spazio geometrico, la prospettiva, moltiplicando i punti di vista accolti da un insieme coerente di elementi compositivi. La commistione di prospettive differenti inerenti il medesimo oggetto o la medesima scena implica di fatto un nuovo modo di intendere la oggettività spaziale, introducendovi la dimensione temporale. L'opera oggettiva o totale non è intesa dai cubisti come rappresentazione che aderisce nella sua totalità al solo aspetto complessivo, che corrisponde ad un singolo proiettore (punto di vista) situato; bensì come rappresentazione multiprospettica dell'oggetto, capace di accoglierne e combinare armonicamente diversi aspetti. L'oggetto è dunque rappresentato come se in una singola istantanea uno sguardo poliprosprettico e profondamente innaturale ne avesse rilevato ed elaborato distinti ma connessi aspetti; come se fosse dunque possibile, nel dominio cui l'arte dà accesso, trascendere o quantomeno potenziare esponenzialmente il grado di complessità della singola prestazione percettiva umana. Quest'ultima essendo situata, dipendente dalla posizione che l'osservatore occupa nello spazio-tempo e dalla relazione che in esso stabilisce con gli oggetti con cui interagisce, il soggetto ha accesso in un dato momento esclusivamente alla proiezione corrispondente alla percezione singolarmente 'presa; o non è piuttosto una combinazione di mappe, di pattern di decodificazione della realtà che concertatamente contribuiscono alla elaborazione percettiva? Se sosteniamo la seconda concezione della sintesi percettiva, allora il messaggio del cubismo è l'affermazione della esigenza di integrare una rappresentazione tradizionale dell'oggetto che riduce impropriamente un complesso reale ad un aspetto che, singolarmente preso, non può esprimere alcunché di ciò che è propriamente visto. L'oggetto percepito è per noi sempre un oggetto esplorato da più angolazioni e, soprattutto, elaborato polisensorialmente; così la rappresentazione visiva si avvale della facoltà di presentare associazioni che fanno capo ad una area cognitiva non-visuale, di tentare dunque di plasmare mediante le sole forme ed i colori disponibili, la forma soggettiva che l'oggetto assume una volta elaborato da chi lo esperisce nella sua totalità ontologica e strutturale.
L'opera cubista rappresenta dunque una sintesi apparentemente statica di un processo profondamente dinamico, che si svolge in un tempo di elaborazione non puntuale: la dinamicità, per i limiti intrinseci che impone l'opera pittorica, è data dalla relazione tra proiezioni distinte e coesistenti sulla medesima tela, dai rapporti sussistenti tra elementi compositivi fissati. La pittura infatti, come la fotografia, può soltanto fingere il movimento, accennare a quanto soltanto un soggetto agente ha il compito di svolgere. Risulta perciò naturale che alcuni artisti che aderirono all'estetica ed alla ricerca formale cubista abbiano voluto sperimentare lo strumento cinematografico per realizzare finalmente un processo di presentazione dell'opera temporalmente esteso. Tra questi abbiamo citato Fernand Léger, teorico dell'arte oltreché pittore francese che ha saputo valorizzare con la sua opera quegli elementi fondamentali della realtà che una disposizione "riduttiva" tende spontaneamente a relegare sullo sfondo, in quanto superficialmente non rilevanti, semplicemente scorti in seno al processo di sintesi percettiva.
Fernand Léger
(1881-1955)
In particolare abbiamo visionato Ballet mecanique, opera in cui Léger compendia i risultati delle sue ricerche.
Ballet mecanique (1924)
Man Ray
(1890-1976)
Artista statunitense estremamente poliedrico. Ha sperimentato nel campo del disegno e della grafica, per poi passare alla pittura. L'incontro con Duchamp nel 1915 segna l'inizio di una collaborazione tra i due che, dopo il fallimentare tentativo di importare a New York lo stile e le tematiche Dada, trova finalmente felice accoglienza a Parigi. Nella capitale francese, Ray diviene noto alla elité aristocratica e artistica come fotografo ritrattista. Dopo aver scoperto casualmente, nel 1921, una nuova tecnica di manipolazione della pellicola (la rayografia: impressione diretta della forma di oggetti sulla superficie fotosensibile del negativo a mollo) decide di esporre pubblicamente i risultati della sua speriumentazione in campo fotografico e cinematografico con la proiezione del film Le retour à la raison, del 1923.
Le retour à la raison
Oltre alla combinazione di fotogrammi impressionati mediante rayografia, Ray inserisce nella pellicola una scena di nudo della musa e modella Kiki de Montparnasse.
Emak Bakia (1926)
L'étoile de mer (1928)
Caratteristica di quest'ultimo metraggio è la scelta di Ray di applicare un filtro simil vetro smerigliato per offuscare la visione di quanto è ripreso. Assumono inoltre rilevanza le didascalie, in cui sono espresse sentenze dallo stile poetico e profetico.
Infine abbiamo introdotto uno dei massimi esponenti del cinema francese,
René Clair, la cui pellicola di esordio, Entr'act, riconosciuta come un capolavoro del cinema
d'avanguardia, è divenuta opera
simbolo del dadaismo.
René Clair
(1898-1981)
Regista, sceneggiatore, attore e produttore cinematografico francese. Raggiunge l'apice della maturità artistica e del successo sviluppando il genere della commedia leggera.
Entr'acte (1924)
Cortometraggio dadaista in cui ha trovato espressione la benriuscita collaborazione di un regista esordiente (Clair), di un "improvvisato" sceneggiatore (il pittore Francis Picabia) e di un compositore (Erik Satie); questo progetto realizza magistralmente l'ideale dadaista di un'opera assolutamente fine a se stessa, in quanto flusso di elementi che ha una propria coerenza interna, che si determina da sé senza riferimenti a ciò che è esterno da sé. L'opera fu pensata come video da proiettare durante l'intervallo (di qui "entr'acte", ossia intermezzo) di un balletto istantaneista (Relache, Rolf de Maré); l'epochè, la sospensione dello spazio e del tempo è quanto realizza l'opera d'arte fine a se stessa, che si esprime mediante un linguaggio a-finalistico.
L'avanguardia che ha forse lasciato le tracce più rilevanti nella cinematografia è il surrealismo; quando parliamo di cinema surrealista in senso proprio non possiamo che riferirci ai lavori di Salvator Dalì e Louis Buñuel,
nei quali risulta propriamente proiettata la natura di un movimento che
attraverso l'impiego di ogni forma di arte intendeva veicolare un
messaggio al contempo esistenziale, estetico e socio-culturale. Già nel
primo, ma ancor più nel secondo manifesto, André Breton incentivava la
creatività degli artisti surrealisti ad assumere qualsivoglia forma
rendesse possibile comunicare ad un bacino sempre più ampio di persone
il nucleo della rivoluzione surrealista. La messa in scena della
surrealtà proiettata sullo schermo divenne dunque una esperienza
surreale che doveva imprimere nello spettatore un nuovo modo di
intendere e di vedere la realtà. L'artista non si pone come fine la
chiara e distinta espressione logica di ciò che è reale, bensì la
scarica emotiva che, sconvolgendo il modo di sentire dello spettatore lo
coinvolge nel modo di sentire dell'artista, nella sua surreale
rappresentazione di uno svolgimento sensato di scene. Questa
sintonizzazione o conversione dello spettatore al piano di riferimento
surreale passava, tra le tante cose, per lo studio di linguaggi o codici
propriamente non-razionali, a-logici: l'esperienza onirica (simbolismo
onirico) e lo stato allucinatorio di coscienza (simbolismo "patologico")
divengono domini di ricerca introspettiva e di sperimentazione
comunicativa al contempo.
Tutti
questi elementi sono evidenti nei lavori che abbiamo visionato, Le chien
andalou e L'age d'or. La scena iniziale de Le chien andalou, in cui
Buñuel è ripreso nell'atto di squarciare con un rasoio l'occhio di una
persona è un messaggio chiaramente surrealista indirizzato allo
spettatore: se intendi vedere così come sei abituato a vedere, non
vedrai alcunché di sintonizzato con il nostro lavoro; non perché non vi
sia alcunché di sensato da rilevare, bensì perché non sei ben disposto a
decodificarlo. L'esperienza surreale corrisponde e deve corrispondere,
in altri termini, ad uno stato di coscienza surreale che il regista
impone allo spettatore vincolato alla elaborazione in fieri di un codice
coerente che non è solito impiegare (con cognizione di causa). Infine,
in entrambe le pellicole la narratività fa perno su una relazione
erotica tra due soggetti particolarmente intensa, alla quale si
oppongono le resistenze derivanti dalla adesione dell'uomo (simbolo di
fatto di una categoria o di una classe sociale più o meno definita) a
sistemi di valori che esasperano, piuttosto che gestire con saggia
moderazione i naturali impulsi psichici di un Uomo in cui
l'irrazionalità e la bestialità giocano ancora la loro parte (a livello
di controllo o gestione di sé). Lo Stato, la Chiesa, le Forze militari
sono Istituzioni fatte bersaglio di una profonda critica che con lo
strumento cinematografico assume la forma che più di ogni altra può
disporre il soggetto alla ricezione inconsciente e subcosciente di un
senso ed imprimere in lui una immagine, un simbolo che è la base
irrazionale di una idea o sistema di valori profondamente razionale. Non
è infatti il reale funzionamento del pensiero ciò che intende
realizzare l'artista surrealista mediante il proprio (rivoluzionario)
esercizio di sé e dello strumento comunicativo?
Con
l'opera di Dalì e Buñuel il conflitto interiore dell'uomo europeo,
scisso tra un formalismo superficiale indiscutibile ed una irresistibile
ed intima volontà di esprimersi finalmente in modo spontaneo; le sue
criticità strutturali figlie di una educazione che non sa gestire la
dualità umana senza esasperare e radicalizzare il dominio di un aspetto
(razionalità) sull'altro (a discapito della creatività umana,
ovviamente) -- tutte queste debolezze del sistema di valori vigente
vengono messe in primo piano, creando immagini concrete che ne palesano
le conseguenze, imprimendole nella coscienza popolare.
Un chien andalou (1928)
L'âge d'or (1930)
In
questa pellicola Buñuel introduce il sonoro ed il parlato. Il tema
dell'opera è, secondo i dettami del II manifesto del surrealismo,
mandato alle stampe da Breton proprio nel 1930, la tensione generata in
seno al singolo e alla società dal conflitto tra la forza sovversiva del
desiderio sessuale e la forza repressiva e conservatrice che governa le
istituzioni borghesi e la Chiesa Cattolica. Il film fu ritenuto
oltraggioso dapprima da un manipolo di squadristi di estrema destra, che
assaltarono il cinema parigino in cui veniva proiettato, poi a livello
ufficiale dalla Censura Nazionale, che cesserà di vietarne pubblicamente
la proiezione soltanto nel 1950.
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